Cosa manca al giornalismo ambientale? Quando abbiamo lanciato il progetto A Fuoco, la newsletter su clima e disinformazione in collaborazione tra Facta, Slow News e Pagella Politica, pensavamo che rispondere a questa domanda fosse fondamentale per provare a migliorare l’infosfera. Così, abbiamo fatto un sondaggio, rivolto sia a chi fa giornalismo sia a chi lo legge.
Dalle quasi 300 risposte (246 lettori e 42 giornalisti), emerge un quadro parziale che, senza la pretesa di essere scientifico, è utile per capire le difficoltà dei media nel trattare un tema enorme e complesso come la crisi climatica. E, soprattutto, per provare a individuare insieme ai lettori interessati le possibili soluzioni, un passo alla volta.
Premesso e ribadito che il campione statistico è ridotto, ecco cosa abbiamo scoperto.
Lo stato dell’arte del giornalismo ambientale: abitudini e richieste dei lettori
Innanzitutto, c’è voglia di giornalismo ambientale: per oltre il 92 per cento dei non giornalisti intervistati, i grandi media italiani dovrebbero dare alta priorità alle tematiche sul clima.
La metà dei partecipanti al sondaggio legge già articoli o notizie legate all’ambiente almeno una volta settimana, il 40 per cento una volta al giorno. Le fonti sono soprattutto quotidiani online (77 per cento dei lettori), blog specializzati (63 per cento) e riviste scientifiche divulgative (50 per cento). Per contro, i quotidiani stampati sono consultati per le tematiche ambientali soltanto da un partecipante su 10 al sondaggio. Poco usati anche tv e radio (due non giornalisti su dieci).
Passando ai contenuti, 3 lettori su 4 apprezzano di più gli articoli con citazioni da esperti o fonti affidabili. Altri criteri di gradimento, per circa il 70 per cento dei partecipanti, sono la chiarezza e semplicità del testo, la profondità e la presenza di dati e grafici. Le storie personali o testimonianze, considerate di solito un modo per avvicinare il pubblico, migliorano invece un articolo ambientale solo per 35 lettori su 242.
Rispetto ai temi coperti, i lettori vorrebbero più informazioni sulle politiche ambientali (70 per cento), sulle fonti di energia rinnovabile e la sostenibilità (65 per cento) e sui cambiamenti climatici (62 per cento).
Dal sondaggio emerge infine come la credibilità dei media sia lontana dall’essere ottimale: mentre il 61 per cento dei partecipanti dichiara di fidarsi “abbastanza” delle informazioni sull’ambiente che legge, il 21 per cento si fida poco e solo un lettore su 10 le ritiene molto attendibili.
In generale, la poca fiducia del pubblico verso i media in Italia è confermata ogni anno dal Digital News Report di Reuters, uno dei monitoraggi più autorevoli del mondo dell’informazione.
Per i giornalisti mancano indipendenza e formazione
Cosa pensano invece i giornalisti? Dal sondaggio emerge un problema di indipendenza e competenze.
L’indipendenza dagli investitori pubblicitari e la formazione specifica sulle tematiche ambientali sono considerati elementi di massima importanza da quasi tutti i giornalisti partecipanti. Al tempo stesso, questi due fattori sono anche visti come le più grandi mancanze del giornalismo ambientale. In altre parole, manca ciò che più conta: la libertà di scrivere (per il 71 per cento dei partecipanti) e la formazione per poterlo fare bene (67 per cento).
Lo stesso non vale per l’accesso a dati e ricerche affidabili: è considerato fondamentale da quasi tutti i giornalisti intervistati, ma rappresenta un problema solo per uno su tre.
Per oltre il 60 per cento dei rispondenti, inoltre, al giornalismo ambientale servono più visibilità sui grandi media e risorse economiche. La mancanza di tempo per produrre contenuti ambientali con la giusta accuratezza, tema caro qui a Slow News, è un problema per un giornalista su due.
Per migliorare, è quindi considerata prioritaria l’indipendenza politica, ma anche corsi specifici e pubblicazioni di facile accesso e database online gratuiti. Ci sono infine due dati sui contenuti della copertura giornalistica che vanno sottolineati. Il primo è che, per un giornalista su cinque, i media dovrebbero trattare tematiche ambientali dando “sempre e comunque (indipendentemente dai dati) conto delle opinioni contrapposte”. In realtà, dare a tutti i pareri uguale risalto in nome di una presunta par condicio è, almeno nel caso della crisi climatica, il contrario della corretta informazione. Sul tema, ha scritto dettagliatamente per A Fuoco Serena Giacomin, nel pezzo “L’insidia del false balance”.
Il secondo, è che per quasi tutti i giornalisti del sondaggio (39 su 42), le istanze degli attivisti ambientalisti dovrebbero avere spazio sui media. Una sorpresa se pensiamo che già si parla delle proteste, ma quasi sempre per condannarne la modalità piuttosto che per raccontarne le ragioni. Il proverbiale sguardo alla macchia di vernice (lavabile) al posto della luna.
Sì, ma quindi come si migliora?
I problemi del giornalismo ambientale sono quindi tanti e sfaccettati ma, almeno per alcuni di questi, si possono progettare soluzioni. Una è la creazione di spazi di confronto: per oltre l’80 per cento dei giornalisti intervistati, disporre di una rete di esperti per le interviste e di piattaforme collaborative tra media e mondo accademico migliorerebbe molto l’informazione sul clima.
Un’altra è la formazione agli strumenti digitali per il giornalismo ambientale, che solo un giornalista su cinque dichiara di conoscere. Ce ne sono tanti e per vari scopi, in A Fuoco ne abbiamo presentati alcuni, come il Global Forest Watch, la mappa ISPRA del rischio idrogeologico per frane e alluvioni, il Fact Check Explorer o la collezione esplorabile dei documenti della COP28. Avrebbe senso approfondire questi tool e altre tematiche ambientali in un webinar di A Fuoco? Il 76 per cento dei giornalisti (e circa un terzo dei lettori) ha detto che parteciperebbe sicuramente. Gli altri forse, in base al tema.
Ultima, ma non certo per importanza, la necessità dei media di tenere attivo il dialogo col pubblico, mettendosi davvero al servizio di lettori e lettrici. Cosa vuol dire? Ad esempio, ripartire dai suggerimenti di questo sondaggio alla domanda aperta su come migliorare il giornalismo ambientale. Eccone alcuni: contrastare l’ecoansia, raccontando le soluzioni oltre che i problemi; sensibilizzare i cittadini alle buone pratiche individuali e a pretendere azioni dai governi; portare i temi ambientali in contesti locali e concreti; contribuire a diffondere una cultura della verifica.
A Fuoco è un progetto collaborativo e questo sondaggio era un piccolo passo per tenere vivo il dialogo tra giornalisti e lettori. Non sarà l’ultimo.
Slow News è il primo progetto italiano di slow journalism e si fonda sulla costruzione di una comunità di lettrici e di lettori e su una filosofia dell’informazione che punta a offrire ai suoi membri una informazione di qualità, che racconti dinamiche che riguardano tutti noi e unisca i puntini della realtà per fornire a chi legge il contesto e le soluzioni. È un progetto libero dalla pubblicità e dalla schiavitù dell’istantismo, che si prende il tempo di produrre informazione insieme alle sue lettrici e ai suoi lettori, che pubblica le storie quando sono pronte e il cui costo viene deciso dai lettori.