William Ward ha 66 anni, è un ingegnere in pensione e ha l’aria di quegli inglesi che passano molte ore della propria vita a curare il giardino. Un giorno decide di fare qualcosa di cui non pensava di essere capace: turbare l’ordine pubblico.
I suoi compagni sono Deborah Wilde, 69 anni, e Simon Milner-Edwards, 67 anni. Insieme preparano una scatola e dentro ci mettono fettucce glitterate, confetti arancioni eco-sostenibili, pezzi di puzzle, poi si recano all’All England Club, Wimbledon, il tempio del tennis. Non possono andare sul campo centrale, ma possono puntare uno di quelli laterali. Si dirigono verso il campo 18, dove stanno giocando Katie Boulter e Daria Saville. William aspetta il cambio campo, e poi decide di entrare, di valicare la soglia che divide spettatori e spettacolo. In abiti civili, cammina sull’erba verde smeraldo dei primi giorni di torneo e dalla scatola sparge i suoi coriandoli. Due uomini in cravatta regimental, quella istituzionale del torneo, arrivano per fermarlo, e solo quando William è ormai a terra possiamo leggere la maglia con scritto “Just Stop Oil", trascinato all’indietro per le braccia e portato fuori dal campo.
I tre attivisti hanno poi dovuto affrontare un processo, sono stati condannati a sei mesi con la condizionale, quella protesta è stata trattata come una seccatura e nel tennis si continua a far finta che il problema della crisi climatica rappresenti un orizzonte vago e distante. Lo scenario tra qualche anno ci farà forse ripensare con nostalgia a quella piccola interruzione di dieci minuti, quando il tennis vedrà minacciate le proprie stesse condizioni d’esistenza.
A dire il vero, a essere meno distratti, non si tratta di uno scenario futuro ma di uno presente. Abbiamo già vissuto, attorno al tennis, quegli scenari che associamo nel nostro immaginario ai film apocalittici. Abbiamo già vissuto incendi attorno ai campi, uragani, temporali improvvisi, le invasioni impreviste di insetti. I tennisti in fuga, o in preda a colpi di calore; giocatori che si infilano un asciugamano di ghiaccio dietro la nuca, cercando di raffreddarsi davanti al ventilatore come un motore surriscaldato. Le polveri tossiche, il pubblico che perde i sensi sugli spalti e i giocatori che svengono in campo, o arrivano a pensare di morire.
Sembrano esagerazioni ma sono solo una serie di fatti messi in fila, e successi negli ultimi anni, tra i più caldi della storia del pianeta, tra i più ricchi di eventi climatici estremi, che hanno portato alcuni tornei di tennis a disputarsi in condizioni ai limiti dell’impraticabilità.
Le WTA Finals di Cancun del 2023, uno dei tornei più importanti del circuito femminile, si sono giocate in Messico nel mezzo di violenti uragani. Le scene sono state grottesche. Dentro a stadi vuoti, le giocatrici hanno lottato contro il vento per riuscire a tirare un servizio in campo, o semplicemente a rimandare la pallina di là. Poi arrivavano le piogge: brevi temporali che non duravano più di qualche minuto. Allora le tenniste attendevano sedute stoiche sulle panchine, avvolte da asciugamani; dietro di loro dei poveri raccattapalle provavano a reggere ombrelli piegati dal vento.
Due anni prima si erano disputati gli Australian Open più estremi di sempre. Gli incendi nella regione attorno a Melbourne spargono attorno ai campi un’aria mefitica, che provocano scene angoscianti: raccattapalle svenuti, giocatori costretti a usare inalatori alla ricerca di aria pulita. In una delle giornate di qualificazione Melbourne ha la peggiore qualità dell’aria al mondo, era sconsigliato uscire di casa ma si giocava a tennis. Quel giorno Dalila Jakupovic dice «Non riuscivo a respirare. Avevo la sensazione di poter collassare da un momento all’altro». Alcune partite vengono cancellate o rinviate.
Per via delle alte temperature, e degli eventi climatici estremi, gli Australian Open sono il torneo più esposto e alla frontiera del cambiamento climatico. Negli anni si sono verificati diversi svenimenti, esperienze pre-morte e allucinazioni – Dankevic dichiarò di aver visto Snoopy in campo. L’organizzazione del torneo dal 2019, in collaborazione con l’università di Sidney, utilizza un indicatore di stress termico, che tiene conto di vari fattori: temperatura, umidità, radiazioni e velocità del vento. Il prodotto è un numero da 1 a 5 che prevede diverse misure: a 4, per esempio, l’arbitro può prolungare gli intervalli della partita; a 5 può sospendere il match.
Il clima australiano è quello più problematico e si ragiona ormai da qualche anno se non sia il caso di spostare lo Slam in un mese meno caldo di gennaio. L’ultimo Mondiale di calcio si è giocato per la prima volta in Qatar in autunno, fuori dalla sua ritualità estiva, e gli stadi erano climatizzati. Misure che andrebbero prese in considerazione in sport come l’atletica leggera o il tennis, secondo Madeleine Orr, autrice del libro Warming Up: How Climate Change is Changing Sport. Nei discorsi di Orr – che fa parte del gruppo di ricerca Sport Eco Group – si mette in discussione un fatto che la nostra cultura tende a dare per scontato, e cioè che lo sport è principalmente un’attività che si pratica all’aperto.
Ogni sport oggi deve fronteggiare il cambiamento climatico in modo diverso. Il tennis è particolarmente esposto al problema delle alte temperature, se non altro perché per quasi tutto l’anno il calendario migra in ogni angolo del globo alla ricerca del sole. La rivista FiveThirtyEight ha elaborato un modello previsionale sul clima per i prossimi anni. Ha misurato che nel 2050 la temperatura media nelle partite agli Australian Open potrebbe essere di quasi 41 gradi. Ripetiamo: la temperatura media. A Wimbledon potrebbe essere di 39 gradi: una temperatura che renderebbe molto difficile mantenere sana l’erba da cui siamo ossessionati. A metà settembre è circolata un’immagine scioccante: una ripresa a volo d’uccello del campo da calcio dell’AFC Wimbledon mostra un cratere bianco che si apre sul prato. Le forti piogge cadute hanno devastato l’erba di un campo distante appena tre chilometri dai prati più famosi al mondo dell’All England Club. L’erba di Wimbledon, uno dei simboli più lampanti della forma di controllo che l’uomo esercita sulla natura, è a serio rischio.
Ma del resto, pur senza che i nostri occhi se ne accorgessero troppo, il tennis ha già modificato la propria natura. La sua estetica rilassata e borghese ha già mutato forma verso qualcosa di più estremo e radicale. Per i cambiamenti delle superfici e delle tecnologie, che uniti alle temperature in aumento generano spettacoli del limite. Ai Giochi Olimpici di Tokyo Daniil Medvedev nel bel mezzo della partita si era rivolto all’arbitro con un quesito di filosofia giuridica degno di Kafka: «Finirò questa partita, ma potrei morire. Se muoio sarà la ITF [La federazione internazionale tennis, nda] a essere responsabile?». Poche cose fanno più impressione di vedere alcuni degli esseri umani più in forma del pianeta non riuscire a tenersi in piedi a causa delle condizioni climatiche. E allora lo sport può essere una rappresentazione potente della fine della normalità.
Alcune misure sono già silenziosamente parte della nostra normalità alterata. I tetti degli stadi, per esempio erano stati originariamente pensati per riparare il campo dalle piogge, ma nel 2023 il campo Louis Armstrong degli US Open è stato per la prima volta chiuso per fare ombra e rendere le condizioni meno intollerabili. Nel 2024 la chiusura del tetto per contrastare gli effetti delle alte temperature è diventata parte del protocollo ufficiale. La decisione sul tetto passa per un indicatore di stress termico sotto la luce del sole, il WBGT.
Altre misure sembrano inevitabili e il dubbio non è se ma quando. Spostare i tornei dello Slam dai mesi cui sono legati tradizionalmente sarebbe scioccante per uno sport conservatore come il tennis, ma non sembrano esserci molte altre soluzioni per il futuro.
I dirigenti, nel frattempo, si pongono spesso domande esistenziali. Come fare a mantenere la crescita, enorme nell’ultimo decennio, dopo il ritiro di star come Federer, Serena e Nadal? Come mantenere vivo l’interesse per uno sport così novecentesco?
Sono domande ingenue di fronte a una minaccia più profonda e radicale, che mette in crisi la possibilità stessa dell’esistenza del tennis. L’ossessione della crescita infinita ha saturato il calendario tennistico sempre di più, ma il gioco sta diventando pericoloso. In cambio di profitti sempre più grandi i corpi dei tennisti accettano rischi sempre maggiori, ma fino a dove possiamo spingerci?
Il tennis è sia uno degli sport che ha il più grande impatto sulle condizioni del pianeta, che quello che tra i primi subirà le conseguenze della crisi climatica. Nessuno inquina quanto i tennisti e le tenniste, con tutti i loro viaggi intercontinentali in aereo - si calcolano almeno 60 mila miglia aeree all’anno percorse. La ATP ha fornito ai giocatori una app che tiene traccia delle loro emissioni durante l’anno, così da ispirare comportamenti più eco-sostenibili. Un’ipocrisia, a essere buoni, visto che non sono i tennisti a fare i calendari e i tanti tornei li costringono a girare il mondo per sopravvivere ad alti livelli. Il tennista finlandese Emil Ruusuvuori ha provato a spostarsi per un paio di mesi via treno facendo base a Milano, ma è chiaro che non sia una strada percorribile.
Su alcune montagne non è già possibile sciare. Il tennis ha il privilegio di non aver bisogno della neve, ma per sopravvivere dovrà ribaltare completamente il proprio approccio: non più inseguire il sole e il caldo tutto l’anno, ma l’ombra e il fresco.
Emanuele Atturo è co-direttore di Ultimo Uomo. Scrive di sport e cultura e parla in diversi podcast. Il suo primo libro è “Roger Federer è esistito davvero” (66thand2nd, 2021) e il suo ultimo saggio è “Visionari” (e-book, Einaudi, 2024).
Memini climatici
La divulgazione della scienza ha molti volti e in questa seconda stagione di A Fuoco vogliamo presentarne uno inedito: i meme. Su cosa sia esattamente un meme si è detto e scritto tanto, ma il modo migliore per entrare nel vivo del concetto è probabilmente quello di mostrarvene uno.
Da oggi e per le settimane a venire vogliamo chiudere così i nostri appuntamenti settimanali, con un contenuto che parli della scienza climatica, delle storture del nostro dibattito pubblico, dei tic del negazionismo sul tema. Per farlo ci servirà anche il vostro aiuto: inviate le vostre produzioni all’indirizzo afuoco@substack.com, saremo felici di pubblicare le migliori. Vi aspettiamo!
Attenzione ai falsi amici nelle traduzioni. "confetti" in inglese significa "coriandoli".