Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, ma possiamo ancora scegliere il nostro futuro
di Antonio Scalari
Il 2023 è stato l’anno più caldo finora registrato. Lo hanno confermato Copernicus, il programma europeo di osservazione della Terra, la Nasa, la Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) , il Met Office britannico insieme alla University of East Anglia e, infine, l’organizzazione climatologica Berkeley Earth.
Il 2023 ha superato il 2016, il precedente anno più caldo, di 0.15-0.17 °C. L’aumento della temperatura media globale nel 2023 ha sfiorato 1.5 °C rispetto al periodo pre-industriale. Si tratta del valore che l’Accordo di Parigi sul clima del 2015 ha indicato come obiettivo delle politiche climatiche, il limite entro il quale dovremmo fermare il riscaldamento globale. Ciò non significa che il pianeta abbia già raggiunto quella soglia in modo stabile, ma il fatto che ci sia andato così vicino è di per sé significativo. Ci ricorda che la finestra temporale, per non mancare quell’obiettivo, si sta ormai chiudendo.
«L’eccezionale riscaldamento che stiamo sperimentando non è qualcosa che abbiamo visto prima nella storia umana», ha detto Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa. La crescita nel lungo termine della concentrazione di gas serra, causata dalle attività umane, rimane il fattore preponderante alla base dell’aumento della temperatura nel 2023. La concentrazione di CO2 ha ormai superato stabilmente le 420 parti per milione. Erano 280, prima che iniziassimo a utilizzare carbone, petrolio e gas.
A ciò si è aggiunto, nella primavera dell’anno scorso, il ritorno di El Niño, un fenomeno che causa il riscaldamento delle acque superficiali dell'Oceano Pacifico centro-orientale. El Niño è parte di uno di quei sistemi climatici che contribuiscono alla naturale variabilità del clima. Ma a questa si sovrappone oggi l’azione esterna delle emissioni antropiche. Nel 2023 temperature particolarmente elevate sono state registrate anche sugli oceani, con vere e proprie ondate di calore marine. Il caldo estremo ha attraversato diversi continenti, dal Nord al Sud del pianeta.
Quando sentiamo parlare di “temperatura media globale” e “anno più caldo” potremmo chiederci come questi dati vengano calcolati e se siano affidabili. Gli scienziati monitorano l'andamento della temperatura della Terra grazie a ben sei dataset, che raccolgono le misurazioni da migliaia di stazioni su tutto il pianeta, a terra e in mare. Sono tre dataset americani, uno britannico, uno europeo e uno giapponese. Tre di questi partono dalla seconda metà del XIX secolo. Pur con alcune differenze, dovute anche a metodi di analisi diversi, questi dataset mostrano un notevole accordo soprattutto sull’andamento della temperatura globale dalla metà del XX secolo ad oggi. Su questi dati si basa il lavoro delle più importanti istituzioni e agenzie scientifiche, come quelle che hanno confermato che il 2023 è l’anno più caldo finora registrato. Inoltre, dalla fine degli anni ‘70 si sono aggiunte le misurazioni satellitari.
C’è un altro aspetto da chiarire e riguarda proprio l’espressione “anno finora registrato”, attorno a cui si alimentano spesso confusione e disinformazione. “Finora registrato” significa che si riferisce al periodo per il quale abbiamo a disposizione archivi sufficientemente completi delle misurazioni strumentali delle temperature a livello globale, cioè dalla metà del XIX secolo. Esistono archivi locali più antichi, come la serie delle temperature mensili dell’Inghilterra Centrale, che parte dal 1659. L’“anno più caldo finora registrato”, dunque, non è il più caldo “in assoluto”. Ma non ci aspettavamo che lo fosse, lo sapevamo già grazie alla paleoclimatologia, la scienza che studia e ricostruisce la storia del clima della Terra.
Per sapere quali temperature dovevano esserci in periodi precedenti all’era dei termometri, gli scienziati ricavano dati da molti indicatori geologici, fisici, chimici e biologici, chiamati proxies. Nella lingua inglese la parola proxy indica qualcosa che fa le veci di un altro, che lo rappresenta al suo posto, che lo sostituisce. In informatica un proxy è un server che fa da intermediario tra un computer e un altro server su Internet. Nella paleoclimatologia un proxy è ciò che fa le veci dei termometri e che ci può dare informazioni sulle temperature di periodi nei quali i termometri non c’erano.
I paleoclimatologi utilizzano, dunque, diversi proxies. Per esempio, ricavano informazioni dai fossili di microrganismi acquatici e dalla misurazione di alcuni elementi chimici nei sedimenti sul fondo degli oceani e dei laghi o dall’aria presente in piccole bolle d'aria intrappolate nei ghiacci antichi, da cui si può avere un’idea abbastanza precisa di quale fosse la composizione dell’atmosfera nel periodo in cui si sono formati. Ma esistono diversi altri proxies, come gli anelli degli alberi e i pollini.
Grazie a questi studi abbiamo imparato molto sulla storia climatica della Terra. Nel suo ultimo rapporto l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) scrive che per trovare un periodo con temperature più elevate di quello attuale bisogna risalire all’ultimo periodo interglaciale, circa 125 mila anni fa. È un periodo molto precedente a quello delle registrazioni strumentali delle temperature. Ma questo, come qualcuno osserverà, è un intervallo temporale ancora piccolo rispetto ai milioni, anzi miliardi, di anni di storia della Terra. Lo è, e durante questi miliardi di anni il nostro pianeta è stato molto più caldo, ma anche più freddo, di oggi. C’è stato un periodo, nel tardo Cretaceo, attorno a 90 milioni di anni fa, in cui le temperature dovevano essere una decina di gradi più alte di oggi, la concentrazione atmosferica di CO2 era qualcosa come 1.000 parti per milione, faceva caldo anche nelle regioni polari, gli oceani erano più alti di decine di metri, estese calotte di ghiaccio erano praticamente assenti. Non è un mondo in cui la civiltà umana, come la conosciamo, potrebbe esistere.
In altre fasi della storia della Terra le condizioni climatiche sono state addirittura più estreme, ma ciò non significa che possiamo minimizzare l’attuale riscaldamento globale o considerarlo un evento ordinario. Perché se è vero che ha fatto più caldo, è vero anche che la velocità con cui la temperatura sta aumentando adesso ha pochi precedenti nella storia. I dieci anni più caldi finora registrati, compreso il 2023, sono concentrati nell’ultimo decennio. Questo è il dato davvero rilevante, molto più del fatto che il 2023 sia stato l’anno più caldo. Quello che deve attirare la nostra attenzione non è il record, ma è la tendenza temporale, perché il primo è una conseguenza della seconda. Anche il record del 2023, infatti, è provvisorio. Nei prossimi anni verrà battuto e perderà posizioni in quella classifica.
Un modo efficace di visualizzare questa tendenza sono le warming stripes, una rappresentazione, ideata dal climatologo Ed Hawkins, che ricorda un codice a barre in cui ogni striscia corrisponde alla temperatura globale media di un anno. Il colore vira verso tonalità di rosso o di blu tanto più accese quanto più la temperatura è stata superiore o inferiore rispetto al periodo di riferimento.
Da diversi anni le strisce sono tutte rosse e il 2023 si aggiunge a questa sequenza. Abbiamo davanti a noi cinque “futuri climatici”, cinque scenari di aumento della temperatura, dal meno caldo e più benigno a quello più caldo e catastrofico. In questo momento siamo diretti verso uno scenario intermedio, ancora troppo caldo. Ma il nostro futuro climatico non è ancora scritto. Quello migliore si realizzerà se faremo scendere nei prossimi anni le emissioni di gas serra con la rapidità necessaria. Il record del 2023 ci ricorda che è bene che decidiamo al più presto verso quale futuro vogliamo davvero dirigerci.
Antonio Scalari è un comunicatore della scienza. È redattore scientifico di Facta, collabora con il sito di informazione Valigia Blu ed è un membro fondatore di Climate Media Center Italia.
Grazie Antonio, ottimo articolo!
Articolo davvero chiaro, grazie.. spero che articoli come questo possano arrivare alla coscienza del maggior numero di persone, c'è ancora troppa indifferenza e ignoranza sulla questione climatica,temo che ci aspetti un futuro non proprio roseo.Quindi sì.. divulghiamo il più possibile per favore...