Il fenomeno originariamente noto come “cambiamento climatico” sta iniziando a essere definito “emergenza” o “crisi” climatica per evidenziare la necessità di un’azione rapida. Allo stesso tempo, però, la diffusione della disinformazione sul tema sta influenzando lo sforzo collettivo per salvare la Terra. Ma qual è il rapporto che intercorre tra le narrazioni fuorvianti e le politiche sul clima?
Melissa Fleming, sottosegretaria generale per le comunicazioni globali delle Nazioni Unite, ha affermato che «l’azione per il clima viene indebolita da attori negativi che cercano di deviare, distrarre e negare gli sforzi per salvare il pianeta» e la disinformazione, diffusa attraverso i social media, è la loro arma preferita. Anche secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, cioè il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, la disinformazione e gli interessi di parte hanno generato «una retorica che mina la scienza del clima e non tiene conto del rischio e dell’urgenza» del fenomeno, ritardando la pianificazione e l’attuazione delle politiche di adattamento.
Il Parlamento europeo nel 2020 ha chiesto la creazione di un codice di condotta globale sulla disinformazione per affrontare la questione climatica, per fornire la base per un accordo sulla disinformazione e le sue interferenze con la politica europea.
Ogni mito, menzogna o teoria della cospirazione che ruota attorno alla crisi climatica e che va contro la scienza è un ostacolo da superare nel processo di creazione di politiche climatiche eque. Le maggiori protagoniste di questo processo sono le multinazionali dei combustibili fossili che utilizzano la disinformazione per far passare l'idea che il petrolio e il gas siano necessari per prosperare, mentre in realtà il loro fine è quello di riempire le loro tasche.
Eco-Bot.Net, un sistema di intelligenza artificiale creato dall’artista e attivista Robert Del Naja e dal ricercatore sulla disinformazione Bill Posters in occasione della COP26 per controllare quanto greenwashing e disinformazione circolasse sui social, ha rivelato che 16 tra i maggiori soggetti inquinatori del mondo sono stati responsabili dell'inserimento di oltre 1.700 post falsi e fuorvianti sui cambiamenti climatici su Facebook nel 2021. Collettivamente, questi annunci hanno fruttato alla piattaforma quasi 5 milioni di dollari.
Ma com’è possibile che questo tipo di contenuti abbiano un’influenza diretta sulle politiche?
La strategia principale utilizzata è creare dubbi nella mente del pubblico. Alcuni ricercatori hanno suggerito che il cosiddetto “scetticismo climatico” ha confuso l'opinione pubblica, ma non solo: ha aumentato la polarizzazione politica, portato all'inazione della classe politica stessa e diminuito il sostegno o addirittura portato al rifiuto delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici.
Ma non si tratta di un fenomeno recente. Le multinazionali del fossile hanno una lunga tradizione di disinformazione diffusa per cercare di negare la scienza e mantenere intatti i propri interessi. Con il passare degli anni, poi, le Big Tech, cioè i grandi colossi della tecnologia, sono diventate complici della rinascita del negazionismo climatico, tanto che l'Ipcc ha pubblicamente denunciato il problema nel 2022.
In seguito a questa nuova ondata di notizie false diffuse con la complicità delle piattaforme, alcune di queste negli ultimi anni hanno annunciato la messa in atto di politiche per fermare la diffusione di falsi contenuti sul clima. Ad esempio nel 2021, Google si è impegnata a non consentire più la monetizzazione dei contenuti pubblicati su YouTube che negano la crisi climatica. E, sempre nel 2022, Pinterest ha vietato contenuti falsi e fuorvianti sul clima sia nei contenuti organici, sia nelle pubblicità. Tuttavia, le ricerche condotte da gruppi ambientalisti e della società civile mostrano che esistono gravi lacune nel modo in cui le politiche che riguardano questo tipo di contenuti vengono applicate.
Ci sono vari esempi che si possono fare per mostrare come si concretizza l’influenza che le lobby del fossile, ma non solo, hanno sulle politiche attraverso la diffusione di narrative false e fuorvianti.
Ad esempio, il New York Times nel 2022 ha analizzato una serie di documenti che hanno mostrato come le azioni di alcune multinazionali del fossile abbiano avuto delle conseguenze sulle azioni politiche. Documenti interni di ExxonMobil hanno mostrato che il colosso petrolifero ha fatto pressioni su un gruppo industriale, l'Oil and Gas Climate Initiative che comprende 12 aziende associate dell'industria fossile, per rimuovere da una dichiarazione strategica del 2019 una frase che «potrebbe creare un potenziale impegno a sostenere gli obiettivi dell'accordo di Parigi».
Uno degli eventi, però, a cui le lobby del fossile sembrano essere più affezionate sono le COP, cioè le conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Secondo un rapporto pubblicato nel 2022 da Climate Action Against Disinformation, durante la COP27 del 2022 i gruppi legati ai combustibili fossili hanno speso circa 4 milioni di dollari in pubblicità su Facebook e Instagram per diffondere false affermazioni sul clima.
La COP28 del 2023, invece, si è chiusa con un traguardo: per la prima volta quasi 200 Paesi hanno concordato un accordo epocale che prevede una, seppur generica, «transizione» dai combustibili fossili. I risultati, però, sono stati contrastanti e per tutta la durata della conferenza la disinformazione e la pressione delle lobby del fossile hanno avuto un ruolo importante.
Secondo alcune analisi, quest’anno sono stati presenti al vertice più di 2mila lobbisti legati ai combustibili fossili, quasi quattro volte di più rispetto agli anni passati. E un’indagine del Guardian ha mostrato come almeno 166 negazionisti climatici e professionisti delle relazioni pubbliche legati ad attori protagonisti delle fonti fossili abbiano avuto accesso ai colloqui. Tra questi era presente l’American Petroleum Institute, un gruppo commerciale legato ai combustibili fossili che da anni blocca l’approvazione di una legislazione nazionale che limiti le emissioni di gas serra e che ha finanziato gruppi che negano i cambiamenti climatici.
Nonostante la necessità di abbandonare il fossile sia stata finalmente riconosciuta, non vi è ad oggi alcun obbligo chiaro o un calendario preciso per raggiungere questo obiettivo. Esistono, invece, numerose scappatoie presentate come “combustibili di transizione” o allusioni alle tecnologie di cattura del carbonio che lo stesso Ipcc ha chiarito che non possono essere in grado di diventare la soluzione definitiva in grado di risolvere la crisi climatica.
Ancora una volta la disinformazione climatica è riuscita a influenzare le politiche e attenuare le azioni future permettendo alle lobby del fossile di dare una parvenza di interesse nei confronti del Pianeta, ma, di fatto, facendo ancora una volta i propri interessi.
Anna Toniolo è una giornalista freelance che si occupa di disinformazione, crisi climatica, questioni di genere e diritti umani, connettendo spesso questi macro temi tra loro. Lavora in Italia e all’estero, principalmente attraverso approfondimenti, reportage e inchieste.
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