L’Africa è il continente da cui dipende il futuro, e il successo, della transizione energetica di tutto il mondo.
Questa non è una semplice ipotesi e sono i numeri a dirlo. Lo ha ricordato il presidente della Banca Africana di Sviluppo (AfDB), Akinwumi Adesina, aprendo i lavori della quarta edizione dell’Africa Investment Forum, l’8 novembre 2023 a Marrakech, in Marocco: «L’Africa ha il 70% delle riserve di platino, il 52% di cobalto, il 26% di bauxite, il 21% di grafite, il 46% di magnesio”» Ma non solo. La maggior parte dei componenti elettronici che utilizziamo oggi, e la totalità dei componenti elettronici necessari alla transizione energetica globale (per realizzare pannelli solari, cavi, infrastrutture tecnologiche, terminali, batterie, accumulatori, display, altoparlanti e quant’altro), si basano sui minerali cosiddetti “strategici”. Dalla A alla Z, dall’alluminio allo zinco.
Ovvio, certo. Ma non scontato.
Più della metà delle componenti di telefoni cellulari, dei computer e delle tecnologie necessarie alla transizione energetica sono realizzate con minerali estratti e semilavorati: il litio e il cobalto sono alcuni dei metalli chiave utilizzati, ad esempio, per produrre le batterie. Nel 2019, circa il 63 per cento della produzione mondiale di cobalto proveniva dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC), nel 2023 è stato dimostrato che lo Zimbabwe è il Paese con le più grandi riserve di litio al mondo. Il tantalio è un altro metallo utilizzato nelle apparecchiature elettroniche: i condensatori al tantalio si trovano nei telefoni cellulari, nei computer portatili e in una gran varietà di componenti elettronici delle automobili, delle biciclette elettriche, dei monopattini, degli accumulatori. La RDC e il Ruanda sono i maggiori produttori mondiali di tantalio. Insieme producono la metà del tantalio mondiale.
Con oltre 125 miliardi di dollari all’anno, il Sudafrica genera la maggior quantità di denaro dalle sue risorse minerarie. La Nigeria è al secondo posto con 53 miliardi di dollari all’anno, seguita da Algeria (39 miliardi di dollari), Angola (32 miliardi di dollari) e Libia (27 miliardi di dollari). Questi cinque Paesi hanno prodotto più di due terzi della ricchezza mineraria del continente.
Il settore minerario e delle terre rare è tuttavia uno dei più critici, sotto diversi aspetti. Dopo quello idrico è il settore economico considerato più “ad alto rischio” in termini di interessi contrapposti e, proprio per questo, in termini di possibili conflitti. Sicuramente è uno dei settori industriali sul quale è possibile investire di più, anche in termini di dignità per i lavoratori e di sicurezza ambientale: «Il costo della manifattura delle batterie al litio è 3 volte più basso in Africa rispetto a USA, Polonia o Cina» ha detto Adesina a Marrakech, citando uno studio di Bloomberg, dimenticando tuttavia di menzionare che la produzione di litio, e di minerali in generale, in Africa è anche sinonimo spesso di sfruttamento, sia delle persone che dei territori nei quali vi sono le miniere e gli enormi siti di produzione. Nel febbraio 2023, al African Mining Indaba tenutosi a Cape Town in Sudafrica, la più grande conferenza mondiale sugli investimenti minerari, la competizione sul settore minerario per la transizione energetica è emersa in tutta la sua drammaticità geopolitica: la Cina attualmente domina la catena di approvvigionamento e il loro raffinamento e gli Stati Uniti vogliono ridurre la propria dipendenza dal gigante asiatico. In questo scenario, il resto del mondo sembra restare a guardare. Gli Stati Uniti prevedono che entro il 2030 i veicoli elettrici (e non si intende unicamente le automobili) domineranno almeno la metà del mercato globale e la domanda di litio (la Cina produce e raffina oggi l’80% del litio del mondo) aumenterà di 42 volte entro il 2040.
E l’Europa? Lunedì 19 febbraio 2024 l’Unione Europea ha firmato con il governo del Ruanda un memorandum che istituisce una stretta cooperazione tra UE e Ruanda per promuovere catene del valore “sostenibili e resilienti” per le materie prime critiche. Non è il primo accordo di questo genere: l’UE ha accordi simili con lo Zambia e la Repubblica Democratica del Congo (RDC), firmati a ottobre 2023 al Global Gateway Forum, e con la Namibia. Tuttavia, proprio la RDC non digerisce il nuovo accordo firmato con il Ruanda: da anni Kinshasa accusa Kigali di armare, finanziare, addestrare e sostenere i ribelli del gruppo M23, che operano nell’est della RDC, nel cuore del bacino minerario congolese, in quello che è uno dei conflitti più sanguinosi, lunghi, violenti e complessi al mondo. Un accordo che sfugge a più di una logica di coerenza: il presidente congolese Felix Tshisekedi ha definito l’accordo “indecente” e lanciato pesanti accuse al Ruanda, che secondo lui «si costruisce oggi attraverso i minerali rubati alla RDC» e che i minerali protagonisti dell’accordo con l’UE sono «prodotti rubati» alla RDC.
«L’esecutivo europeo non solo sta raggiungendo l’apice del cinismo in termini di geostrategia, ma sta illustrando ancora una volta una politica di doppi standard che mina la credibilità delle istituzioni internazionali» ha detto in una dichiarazione il premio Nobel per la pace congolese Denis Mukwege, medico ginecologo che da una vita lavora a Bukavu, nell’est della RDC, in piena zona di conflitto. Il Nobel ha detto che l’accordo «è in totale contraddizione con il principio di coerenza e con i valori fondamentali dell’UE, in particolare la promozione della pace e dei diritti umani» e ha chiesto all’Europa di «rendere efficace il regolamento UE sulla dovuta diligenza per le catene di approvvigionamento di minerali puliti, entrato in vigore nel 2021 e tuttavia ampiamente disatteso dalle opache catene di approvvigionamento transfrontaliere tra la RDC e il Ruanda».
Il Ruanda è accusato da anni dalla Repubblica Democratica del Congo di estrarre illegalmente risorse minerarie dal suo territorio. Quello degli interessi che gravitano attorno alle miniere costituisce il principale nodo gordiano dei minerali critici. Nodo che, come dicevamo poc’anzi, al netto della crescita esponenziale del mercato della componentistica e delle batterie, pone due ordini di problemi.
Uno politico, perché il quasi-monopolista è la Cina, e uno tecnico-ambientale, perché i minerali come il litio sono come il petrolio: si esauriscono e degradano l’ambiente. Da una ventina d’anni la Cina considera prioritario conquistare il mercato dei minerali critici e ha sostenuto tale priorità con una strategia massiccia fatta di diplomazia pubblica, investimenti infrastrutturali e cancellazione del debito, fatto salvo la contrazione di nuovi debiti a lungo termine a interessi anche maggiorati. In questa strategia non sono tuttavia contemplati i costi ambientali dell’estrazione dei minerali né, tantomeno, i costi sociali.
Sembra una strada senza uscita ma nessuno ha considerato di fare i conti con l’attore principale, in questa “nuova” industria globale: i Paesi africani. I quali hanno dei governi, società complesse e professionalità, tecniche oltre che politiche, in grado di capire cosa è meglio per loro: il ministro delle Miniere della Namibia ad esempio, Tom Alweendo, durante la conferenza di Città del Capo ha dichiarato che il suo governo insiste affinché tutto il litio estratto in Namibia debba essere lavorato nel Paese. Allo stesso modo, anche il presidente congolese (RDC) Felix Tshisekedi ha ricordato che una delle mission della sua amministrazione va proprio nella direzione di nuove e più solide garanzie dalla Cina, in termini di diritti dei lavoratori, sicurezza delle miniere, costi di esportazione e manifattura locale: il litio e il cobalto congolese devono essere raffinati in Congo e l’obiettivo di Kinshasa, davvero ambizioso, va verso una produzione locale di batterie e componenti. Oggi la Cina acquista la maggior parte del cobalto proprio dalla RDC, che ne produce circa il 70 per cento del totale mondiale: saranno i prossimi anni a dirci chi la spunterà in questo braccio di ferro. «I cinesi hanno guadagnato un sacco di soldi e hanno tratto molti profitti da questo contratto» con il governo congolese, ha detto Tshisekedi, un contratto dal valore di 6,2 miliardi di dollari: «Ora la nostra necessità è semplicemente quella di riequilibrare le cose in modo che diventi vantaggioso per tutti».
Al vertice USA-Africa di dicembre 2022, la RDC e lo Zambia hanno firmato un accordo con gli Stati Uniti per sviluppare congiuntamente la catena di approvvigionamento per le batterie dei veicoli elettrici e la Tanzania, di recente, ha vietato per legge l’esportazione di minerali strategici senza valore aggiunto.
La Tanzania, in particolare, è indicata da diversi importanti finanziatori globali e venture capitalist come un esempio, forse attualmente il più virtuoso ed efficace, che l’intero continente africano dovrebbe seguire. Guidata da una donna, Samia Suluhu Hassan, musulmana e avvocata, ex-vicepresidente diventata presidente con la morte del predecessore, un negazionista del Covid morto di Covid, John Magufuli, la Tanzania ha richiamato i dissidenti in patria, legalizzato i partiti di opposizione, promosso la libera stampa e aperto il Paese a massicci investimenti, sì, ma fatti con criterio e secondo regole chiare. In particolare nei settori più a rischio, come quello minerario.
Forse il futuro della transizione energetica, che è in Africa, è anche donna. Sfruttare il valore di questi minerali richiede investimenti in infrastrutture, innovazione e pratiche sostenibili e nello sviluppo del tessuto industriale locale. I minerali strategici africani dovranno essere lavorati prima di essere esportati, così da creare catene di valore e posti di lavoro per le popolazioni locali. «Le nostre risorse naturali creeranno sicuramente prosperità, quindi i governi devono creare le condizioni per facilitare questa prosperità» ci ha detto Georgette Sakyi Barnes Addo, direttore esecutivo di Georgette Barnes Limited e presidente della Ghana Women in Mining Association. «Ho una trentina d’anni di esperienza nel mio settore e una decina come amministratore delegato, ma è difficile accedere al credito. Ti chiedono sempre di tuo marito» spiega parlandoci dell’accesso ai finanziamenti, soprattutto per le donne, che oggi è un’altra sfida nel settore minerario africano. «La Banca Africana di Sviluppo ha un numero sempre crescente di accordi con le banche per chiedere loro di finanziare a tassi agevolati le imprese guidate da donne. Bastano gli strumenti finanziari giusti per consentire alle donne di avere i finanziamenti di cui hanno bisogno per sviluppare le loro imprese» ha detto all’Africa Investment Forum del 2023 Swazi Tshabalala, vicepresidente senior del gruppo della Banca Africana di Sviluppo.
Insomma, la transizione energetica sembra essere materia africana e, soprattutto, per le donne africane.
Andrea Spinelli Barrile è giornalista, editor, autore e co-fondatore di Slow News, specializzato di Afriche e diritti umani. Ha vinto il Premio Italia Diritti Umani 2017 della Free Lance International Press (FLIP) e Amnesty International per il libro "Esperanza", edito da Slow News, e il Premio Letizia Leviti 2020 per la serie "Ebola, dal letame nascono i fiori".