Le politiche ambientali spaventano l’estrema destra. E se questa volta non vincesse la paura?
di Pietro Mensi
Chissà cosa scriveranno gli storici del prossimo secolo quando guarderanno indietro ai nostri anni e dovranno spiegare perché alle elezioni europee del 2024, nel continente che si surriscaldava più rapidamente al mondo – e quando la finestra per l’azione climatica si era fatta così stretta che quasi metà degli scienziati climatici intervistati dal Guardian prevedevano un aumento di temperature superiore a 3°C con conseguenze apocalittiche per l’intero pianeta – la lotta al cambiamento climatico non era tra gli argomenti più dibattuti della campagna elettorale.
Scriveranno che il tema del cambiamento climatico era diventato talmente centrale che aveva permeato tutti gli altri temi fino a far sembrare che fosse scomparso dal dibattito, quando in realtà non lo era? O che in un’epoca segnata da una crescente polarizzazione mediatica una sfida così complessa non poteva che perdere sistematicamente nella gara al like contro sfide più semplici da capire, quotidianamente più scioccanti o pressanti e quindi più sentite, come guerre e crisi economiche?
Sono due letture molto semplicistiche, e la verità sta certamente da qualche parte nel mezzo, ma visto che il futuro è tutto da scrivere e visto che di lavoro faccio il campaigner, non il politologo, io propendo per la prima. E non lo faccio per istinto, lo faccio sulla base di alcuni dati, quelli di Eurobarometro del 17 aprile, secondo i quali nell’Unione europea, mediamente, l’interesse verso le prossime elezioni è significativamente più alto che in passato: a dirsi interessate, infatti, sono il 60 per cento delle persone interpellate, l’11 per cento in più rispetto al 2019. Anche in Italia l’interesse sale di 4 punti rispetto all’ultima tornata elettorale, dal 55 per cento al 59 per cento.
Contestualizza bene il direttore di YouTrend Lorenzo Pregliasco su Coffee News di Chora Media: «C’è grande attesa, c’è curiosità per i risultati del prossimo 9 giugno. Ma non è sempre stato così. Quest’aria che circonda il voto del prossimo giugno è una relativa novità», ha spiegato Pregliasco, aggiungendo che «Per quasi trent’anni le elezioni europee hanno ottenuto scarsissima attenzione da parte dell’opinione pubblica, sia di quella europea che di quella italiana. Dagli anni novanta fino al 2019 infatti l’affluenza media dell’Unione europea è sempre stata al di sotto del 50 per cento».
Impossibile sapere se e quanto questo crescente interesse si tramuterà in voti ma, sempre secondo Pregliasco, si possono avanzare tre ipotesi sulle ragioni dietro questo rinnovato interesse. La prima è che, per quanto possa sembrare paradossale, il crescere di sentimenti e forze politiche anti-europeiste abbia fatto da cassa di risonanza mediatica. Il secondo è che dopo la pandemia Covid-19 l’azione politica dell’Ue si sia fatta più visibile e più concreta. La terza è che si sta affacciando alle urne una generazione che ha più a cuore le faccende europee, una generazione che «sembra dare per acquisito che l’Europa sia lo spazio in cui tutti viviamo».
Le politiche ambientali europee sono sicuramente uno dei fili rossi che tengono insieme queste tre ragioni: infatti, il Green Deal è nato sulla scia dei movimenti giovanili per l’ambiente del 2019 e il Recovery Fund, ideato per reagire alla pandemia, e il RePowerEU, pensato per reagire alla crisi del gas, sono entrambi strumenti fortemente incentrati sulla transizione energetica. Non c’è da sorprendersi, quindi, se le politiche ambientali sono diventate il capro espiatorio numero uno dell’estrema destra, ancora più dell’immigrazione, perché sono le politiche che più stanno ridefinendo i contorni della nostra proiezione verso il futuro, i contorni di chi saremo domani.
In questo senso, le paure dei nazionalisti e degli estremisti di ogni risma devono essere interpretate come una cartina di tornasole certificante che la direzione è giusta. Non sarebbe la prima volta che i movimenti reazionari anticipano il coagularsi di istanze progressiste mature. Loro per primi, di pancia, hanno intuito che la giustizia climatica “minaccia” di diventare la pietra angolare mancante che tiene insieme i valori europei fondamentali (protezione dell’ambiente, democrazia, giustizia e pace) e che punta a sgretolare i sistemi patriarcali del privilegio su cui ancora si basano le nostre società.
Per questo il 25 aprile scorso, nel giorno della liberazione d’Italia dall’occupazione nazista e dal fascismo, Futurevox ha lanciato la campagna Fermiamoli col voto. Perché sia il nemico che la strada sono chiari, e il voto dell’8-9 giugno è, per dirla con le parole sempre illuminanti del giornalista Ferdinando Cotugno, un voto esistenziale.
E se vincessimo noi?
Pietro Mensi è fondatore e co-direttore di Futurevox, startup che fa attivismo digitale e community organizing.
A Fuoco x Elezioni europee
La newsletter di A Fuoco tornerà sabato 8 giugno con un appuntamento speciale tutto dedicato alle elezioni europee, per un’analisi degli impegni assunti dai partiti politici italiani in relazione all’azione climatica. Sarà una comoda guida al voto consapevole sui temi cari a questa newsletter, insomma, che giungerà nelle vostre caselle mail la mattina stessa in cui si apriranno le urne.
A (molto) presto!