I danni da specie aliene superano globalmente i 423 miliardi di dollari all’anno, in Europa sfiorano i 12 miliardi di euro e, in Italia, solo quelli da granchio blu sono stati stimati in 100 milioni di euro. L'arrivo di nuove specie biologiche, in territori diversi da quelli di origine, è un fenomeno oggi accelerato dalla crisi climatica. Questi organismi possono rappresentare una minaccia per gli ecosistemi dove si insediano e causare danni ad alcune attività umane.
Ma se si analizza la questione si scopre che, mentre diverse specie aliene comportano seri problemi, alcune possono aiutarci a risolverne altri.
Nove aliene su dieci non invadono
Una specie è detta “aliena” se è stata “introdotta al di fuori della propria distribuzione naturale passata o presente”. È l’eventuale aggiunta dell’aggettivo “invasive” a segnalare che minacciano la biodiversità e che entrano in competizione con le specie autoctone, annientandole, con potenti impatti anche sull’ecosistema che le ospita.
Delle 37 mila specie aliene introdotte nel mondo, quelle invasive sono circa 3.500: meno di un decimo (il 6 per cento delle piante e il 22 per cento degli invertebrati). La percentuale resta simile anche in Europa (10-15 per cento). Il cosiddetto “effetto sineddoche”, il confondere una parte (le aliene invasive) con il tutto (le aliene), cancella quindi l'esistenza di una larga fetta di specie che possono essere introdotte “da fuori”. Quelle naturalizzate, con diffusione contenuta da elementi naturali o antropici, e quelle casuali, che non sopravvivono lontane dalla loro terra natia.
Le ex aliene insospettabili
La presenza di animali e piante non autoctone su un territorio non è di per sé un segnale di allarme. Lo conferma il fatto che alcune specie oggi percepite come “nostre”, nascondono un passato da “aliene”. Per esempio il bel cigno reale: «oggi vive stabilmente in Italia e non è visto come un animale esotico, ma è sempre stato solo di passaggio fino agli anni 60-70, poi ha iniziato a nidificare in Lombardia e Piemonte e dagli anni 90 è anche tra le specie protette», spiega Andrea Galimberti, docente di zoologia dell’Università Bicocca. Lo abbiamo introdotto perché “carismatico”, proprio come il fagiano comune, colorato, di gradevole aspetto e che “unisce l’utile al dilettevole”: si adatta bene a varie condizioni ambientali ed è facile da cacciare e da allevare. Originariamente diffuso in Asia e introdotto in Italia all’epoca dei Romani, ora è definito naturalizzato.
Tra i “volatili alieni insospettabili”, particolarmente emblematico è il caso della pernice sarda. «È vulnerabile ed è considerata un indicatore di qualità ambientale, in passato era anche una risorsa alimentare. Ma il suo nome inganna: è nordafricana, non sarda: è stata probabilmente introdotta dai Romani» aggiunge Galimberti. Ci sono alcune specie aliene vegetali che sfoggiamo persino sui balconi, come il geranio. «Si tratta di Pelargonium e arriva dall’Africa meridionale, ma non si è mai spontaneizzato in Italia dove è registrato in alcune regioni come aliena casuale» , osserva Chiara Montagnani, ricercatrice di Botanica dell’Università Bicocca. Di pianta utile e molto apprezzata, ma non “nostra”, c’è anche la magnolia grandiflora. «L’abbiamo introdotta all’inizio del XVIII secolo, anche per farne creme e profumi, ma è originaria degli Stati Uniti».
Un nuovo menù a base di crisi climatica
Con alcune specie aliene conviviamo da tempo, senza quasi ormai ricordarne le origini straniere. Con la crisi climatica, cosa cambia? Viene favorito un “generale rimescolamento” di animali e piante nel globo: specie native di una certa area vengono indebolite dal “nuovo clima” che al contempo ne attira altre, più in grado di sopravvivere, fino a prevalere. Può avvenire una parziale sostituzione di fauna e flora autoctone, ma non è detto che ciò comporti danni. Tra le specie aliene recentemente introdotte, ci sono infatti alcune buone alleate contro la crisi climatica stessa.
Lo si vede bene nel mar Mediterraneo, dove l’ISPRA spiega che la variazione delle condizioni ambientali può favorire la presenza di specie aliene, di cui alcune invasive. Tra gli organismi più competitivi e tolleranti agli alterati livelli di salinità e temperatura, ci sono anche ingredienti utili alla nostra cucina. La vongola filippina, per esempio: «introdotta intenzionalmente nella Laguna Venezia, compensa la carenza di quella verace nostrana, meno resistente alla crisi climatica, ed è commercialmente più vantaggiosa», dice Maria Del Mar, ricercatrice di Scienze Marine dell’Università di Palermo .
Sempre dall’Asia proviene la gracilaria vermiculophylla, una specie che si è insediata negli ultimi anni, questa volta senza l’aiuto dell’uomo. Questo “incidente”, però, non ha suscitato allarmi. Anzi, parte dell’agar che produciamo in Italia deriva proprio da questa alga rossa, più tollerante alla grandi variazioni di salinità e temperatura rispetto alle preesistenti sul territorio.
Un futuro “caso ittico” di aliena alleata contro la crisi climatica potrebbe essere il pagro maggiore. «Rende di più, economicamente, rispetto a quello autoctono: l’abbiamo importato apposta da Giappone e Corea» spiega Del Mar, «non è ancora commercializzato, causa colorazione leggermente diversa e potenzialmente penalizzante, ma la carne è molto simile».
Basilico e limoni: alieni ma DOP
Chi teme che mangeremo sempre più specie aliene può già ritrovarle nei nostri piatti: accade infatti da sempre. Anche la nostra tradizionale dieta mediterranea contiene ingredienti di antica origine straniera, alcuni dei quali vantano persino la denominazione DOP: il limone e il basilico.
«Il primo, arrivato dall’Asia, oggi in Italia è considerato casuale» dice Montagnani, «può “fuggire” da coltivazioni e giardini ma non forma popolazioni stabili». Per chi lo ha ritratto negli affreschi di Pompei era una specie aliena, proprio come il basilico per i Greci e i Romani che lo hanno accolto da Asia e Africa, eleggendolo a simbolo di amore, odio o malasorte. Oggi è ufficialmente una specie aliena casuale e di origine protetta.
Questi due ingredienti mostrano come geografia e percezione delle specie introdotte variano nel tempo e nello spazio. Lo stesso basilico che rende unico il pesto ligure, in Australia è un’erbaccia “fuggita” dalle coltivazioni che si può trovare anche in aree naturali. Lo racconta Montagnani, ricordando «l’importanza di dove vengono messe a dimora le piante esotiche: in città possono non essere una minaccia, al confine con ambienti naturali sì». Un altro esempio è la ceiba, specie sudamericana introdotta nei giardini botanici europei, il cui tronco “a bottiglia” compare anche lungo i viali di Palermo, sorreggendone l’appariscente fioritura. Non si naturalizza di frequente, in questa città sono stati per esempio osservati eventi di spontaneizzazione solo circoscritti.
Nessun allarme ceiba, quindi. Se passiamo da lì, non guardiamola con sospetto: nell’UE le specie aliene invasive a cui fare attenzione sono altre. Sono 88 (47 animali, 41 piante) e c’è un Regolamento che ne limita detenzione, importazione, vendita, allevamento e coltivazione, chiedendo a ogni Paese misure rapide di individuazione ed eradicazione. Per le imprese c’è il Kunming-Montreal Global biodiversity framework, che all’articolo 15 le obbliga a valutare e ridurre ogni impatto negativo sulla biodiversità, lungo tutta la catena di approvvigionamento.
Asso nella manica: la biodiversità
Esistono gli strumenti per gestire le specie aliene facendo le opportune differenze e senza gettare, assieme ai problemi, anche possibili soluzioni alla crisi climatica. Si dovrà continuare a valutare caso per caso, senza certezze o soglie assolute. «Quando in un ecosistema una specie diventa dominante si sovverte l’equilibrio preesistente, ma non lo si può prevedere prima» spiega Massimo Labra, direttore scientifico del National Biodiversity Future Center. «Servono studi di fattibilità per analizzare con prudenza le dinamiche di riproduzione e diffusione della specie che si vuole introdurre e anche le sue interazioni con l’ecosistema ospitante, individuando organismi competitori e nemici naturali».
Serve tempo, ma la crisi climatica mescola continuamente le carte e la strategia dell'UE per la biodiversità chiede di gestire le specie aliene invasive e di dimezzare entro il 2030 la lista di quelle minacciate. «Ciascuno può però contribuire, imparando a identificare specie invasive, anche con l’aiuto di applicazioni (per esempio l’app Invasive Alien Species in Europe) , evitando l’inquinamento genetico e diffondendo comportamenti e informazioni corretti», suggerisce Labra, convinto però che sia necessario un cambio di scala nella gestione delle specie aliene: da nazionale ed europea a globale.
Solo così si potranno aiutare davvero i governi di tutto il mondo a valutare quando una specie aliena è pericolosa per determinati habitat e quando e come, invece, può rappresentare un valore. Evitando così di partire ogni volta da zero, si moltiplicherebbero le opportunità di sfruttare correttamente la biodiversità per mitigare gli effetti della crisi climatica. «La consideriamo come qualcosa solo da proteggere - sottolinea Labra - ma se impariamo a usarla, sarà lei a proteggere noi».
Marta Abbà è una giornalista freelance e fisica dell’ambiente. Racconta come ricerca scientifica e tecnologia possano aiutare a mitigare l’impatto della crisi climatica su ambiente e società, sia in reportage approfondimenti e inchieste anche internazionali, sia come membro di Italian Climate Network.
Memini climatici
La divulgazione della scienza ha molti volti e in questa seconda stagione di A Fuoco vogliamo presentarne uno inedito: i meme. Su cosa sia esattamente un meme si è detto e scritto tanto, ma il modo migliore per entrare nel vivo del concetto è probabilmente quello di mostrarvene uno.
Da oggi e per le settimane a venire vogliamo chiudere così i nostri appuntamenti settimanali, con un contenuto che parli della scienza climatica, delle storture del nostro dibattito pubblico, dei tic del negazionismo sul tema. Per farlo ci servirà anche il vostro aiuto: inviate le vostre produzioni all’indirizzo afuoco@substack.com, saremo felici di pubblicare le migliori. Vi aspettiamo!
Ci sono progetti europei come ASAP ( https://www.lifeasap.eu/index.php/it/, giusto per sottolineare l'urgenza di fermare queste invasioni) che cercano di comunicare e diffondere ai non addetti ai lavori che è importantissimo evitare di introdurre nuove specie, proprio perché è impossibile prevedere cosa succederà, infatti c'è un periodo molto lungo anche di acclimatazione dopo il quale una specie introdotta può diventare invasiva, anche più di 70 anni. Far passare il concetto che potremmo trarre un vantaggio è contro tutti questi sforzi di conservare la biodiversità facendo una buona informazione sul comportamento da adottare, da tutti. Si passa un concetto fuorviante e pericoloso insomma, totalmente da evitare. Già così è difficile diffondere le idee corrette, poi queste informazioni date cosi diffondono solo dubbi e perplessità sull'argomento. Il messaggio giusto sarebbe specie esotiche evitarle di introdurle sempre perché non siamo in grado di prevedere quale sarà l'interazione con l'ecosistema autoctono.
Da biologa leggere questo pezzo sulle specie esotiche mi fa abbastanza rabbrividire..il messaggio che passa è molto pericoloso ed è sostanzialmente fuorviante. Infatti il problema sono le specie esotiche INVASIVE, non le specie esotiche di per sé, alcune delle quali di importanza fondamentale anche alimentare, quali il pomodoro o la patata. Oltretutto l'esempio della specie introdotta dai romani è fuori luogo, perché le specie esotiche si distinguono in archeofite e neofita, post scoperta delle Americhe, 1492 dC, dopo la quale vengono considerate quindi specie esotiche o native. Le specie esotiche, animali e vegetali, invasive sono un problema gravissimo per la biodiversità, già in ginocchio per la nostra scarsa lungimiranza, e questo articolo ne minimizza la gravità e banalizza un fenomeno ecologico complesso, facendo sostanzialmente disinformazione.