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Ci sono progetti europei come ASAP ( https://www.lifeasap.eu/index.php/it/, giusto per sottolineare l'urgenza di fermare queste invasioni) che cercano di comunicare e diffondere ai non addetti ai lavori che è importantissimo evitare di introdurre nuove specie, proprio perché è impossibile prevedere cosa succederà, infatti c'è un periodo molto lungo anche di acclimatazione dopo il quale una specie introdotta può diventare invasiva, anche più di 70 anni. Far passare il concetto che potremmo trarre un vantaggio è contro tutti questi sforzi di conservare la biodiversità facendo una buona informazione sul comportamento da adottare, da tutti. Si passa un concetto fuorviante e pericoloso insomma, totalmente da evitare. Già così è difficile diffondere le idee corrette, poi queste informazioni date cosi diffondono solo dubbi e perplessità sull'argomento. Il messaggio giusto sarebbe specie esotiche evitarle di introdurle sempre perché non siamo in grado di prevedere quale sarà l'interazione con l'ecosistema autoctono.

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Da biologa leggere questo pezzo sulle specie esotiche mi fa abbastanza rabbrividire..il messaggio che passa è molto pericoloso ed è sostanzialmente fuorviante. Infatti il problema sono le specie esotiche INVASIVE, non le specie esotiche di per sé, alcune delle quali di importanza fondamentale anche alimentare, quali il pomodoro o la patata. Oltretutto l'esempio della specie introdotta dai romani è fuori luogo, perché le specie esotiche si distinguono in archeofite e neofita, post scoperta delle Americhe, 1492 dC, dopo la quale vengono considerate quindi specie esotiche o native. Le specie esotiche, animali e vegetali, invasive sono un problema gravissimo per la biodiversità, già in ginocchio per la nostra scarsa lungimiranza, e questo articolo ne minimizza la gravità e banalizza un fenomeno ecologico complesso, facendo sostanzialmente disinformazione.

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Quello che affermiamo nell’articolo è proprio che non tutte le specie aliene sono invasive e, quindi, dannose.

Le specie introdotte dai romani sono state citate per mostrare che ai tempi avrebbero potuto essere considerate aliene “pericolose”, invece si sono “integrate serenamente” nel nostro Paese senza siano accaduti drammi. Lo stesso potrebbe avvenire oggi con specie aliene non invasive: tra secoli magari gli abitanti della Terra non le considereranno più un potenziale pericolo, anzi, se ne dimenticheranno le origini straniere.

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Questo, mi perdoni, ma non ha alcun senso logico come base per prendere decisioni che dovrebbero basarsi sulla scienza.

Senza contare che i romani non avevano la possibilità si spostarsi che abbiamo noi oggi, che è un fatto assolutamente di rilevanza centrale per queste considerazioni.

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PS aggiungo che seguo con molto interesse A fuoco da un annetto ormai, e apprezzo molto l'ottimo lavoro che fate parlando di scienza e cambiamenti climatici. Questa volta però temo abbiate fatto uno scivolone.

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(Nel senso che spostare specie nell'area biogeografica mediterranea non equivale assolutamente a diffonderle tra continenti differenti..poi sicuramente ci saranno molti naturalisti e biologi che saprebbero spiegare ancora meglio e più dettagliatamente perché dal punto di vista ecologico questo esempio è totalmente insensato per supportare questa tesi del "a loro è andata bene, magari andrà bene pure a noi")

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Aggiungo: pensare che sia possibile valutare a priori se una specie possa diventare invasiva o meno è già di per sé rasente all'affidabilita zero, considerando poi il cambiamento climatico, condizione quindi estremamente complessa da valutare e, soprattutto valutare le dinamiche future della vegetazione autoctona a tali condizioni e, quindi la resilienza a specie esotiche, è materia da stregoneria. Da sconsigliare assolutamente a qualsiasi amministratore del territorio.

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set 11·modificato set 11Autore

L'articolo non dice che si ritiene possibile prevedere esattamente se una specie possa diventare invasiva o meno. Si afferma piuttosto che i vari Paesi, condividendo informazioni in merito, possono avvalersi delle esperienze altrui per meglio gestirle e considerarne caratteristiche e rischi (ovviamente consapevoli che ogni contesto ha caratteristiche a sé e che la crisi climatica continua a farlo evolvere). La condivisione di informazioni diventa quindi un potenziale aiuto alla gestione, non un modo per avere soluzioni “copia-incolla” o per prevedere il futuro.

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